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Messaggi senza risposta | Argomenti attivi Oggi è 16/07/2025, 12:48



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 "Trez il Ramingo e il Caldo Maledetto di Britain" 
Autore Messaggio
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Iscritto il: 28/06/2017, 7:32
Messaggi: 869
Era una giornata maledettamente calda su Sosaria. Il sole, inclemente come un drago ubriaco di peperoncino, picchiava senza tregua sulle strade di Britain. I pochi abitanti che osavano uscire lo facevano barcollando all’ombra delle case, con le vesti sudate e lo sguardo perso come dopo una sbronza epica.

Ma tra tutti, uno spiccava per audacia… e mancanza di vestiti.

Trez il Ramingo, noto vagabondo, cercatore di guai e collezionista di strane decisioni, avanzava nudo come un verme appena evocato da un incantatore distratto. Le vesti? “Sacrificate agli Dei del Fresco”, diceva. Il bastone da viaggio era l’unica cosa che ancora si portava addosso. E pure quello sembrava sudare.

Cavalcava il suo fedele gallinaccio, un pennuto grosso quanto un pony e altrettanto lamentoso, chiamato Velenom. L’animale arrancava sotto il sole con gli occhi socchiusi, la cresta floscia e la lingua di fuori, producendo un verso che stava a metà tra il rantolo e il clacson di una carrozza scassata.

«Coraggio, Velenom,» lo incitava Trez, «la locanda è vicina! Birra per me… granaglie ghiacciate per te!»

Arrivati davanti alla stalla, Trez smontò con un tonfo e si appoggiò al recinto, ansimando come un bue stanco.

«Zoraaa!» sbraitò. «Ma lo senti anche tu questo caldo torrido, opprimente, infame che attanaglia Sosaria come una morsa sudaticcia di un orco innamorato?»

Lo stalliere Zora, lo fissò con l’espressione esausta di chi ha visto troppo e ormai ha smesso di farsi domande. Gli porse un secchio d’acqua. «Lavati, va’… e vedi di dare anche un po’ d’ombra a quel povero pollo.»

Velenom si accasciò con un plof, emettendo un verso simile a un rantolo esistenziale che fece scappare due gatti e una moneta da un borsello.

Trez annuì con solennità, si bagnò la testa e riprese il cammino come se avesse appena completato un rituale sacro.

Entrò nella locanda di Matea con passo fiero – o almeno lo sarebbe stato, se non si fosse attaccato le terga a una sedia bollente la sera prima.

«MATEAAAA!» tuonò, spalancando le braccia al cielo come un profeta disidratato. «Portami un barile di birra fresca! Intero!»

Matea, che stava asciugando boccali già asciutti solo per passare il tempo, lo guardò con la pazienza di una madre che sa cosa sta per succedere ma spera sempre in un miracolo.

«Un barile intero, Trez? Non vuoi magari anche una piscina di luppolo?»

Trez si appoggiò al bancone, sudato, rovente, gocciolante.

«I saggi guaritori dicono che col caldo bisogna bere molto… e io, mia cara Matea, sono un uomo di profonda fede scientifica.»

Matea sospirò. Prese un barile piccolo, lo mise davanti a lui, e poi gli gettò addosso un grembiule per decenza.

Trez, beato, ci infilò la testa dentro come un neonato affamato, mugugnando qualcosa tipo “aaah... refrigerio divino...”.

E così, tra vapori, sudore, birra e gallinacci esausti, Trez il Ramingo vinse anche quella giornata. Nudo. Ma vittorioso.


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30/06/2025, 7:23
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Messaggi: 869
Capitolo II: L’Incubo della Sedia Incollosa

La locanda di Matea era immersa in un’atmosfera appiccicosa, quasi si potesse tagliare il caldo con un coltello da burro e spalmarlo sul pane del giorno prima. Trez, avvolto da un’aura di sudore e gloria, si era appena separato dal suo primo barile con lo stesso struggimento con cui un bardo lascia la sua musa.

«Un altro, Matea!» gracchiò, battendo il boccale sul bancone con la forza di un elfo raffreddato.

«Ne hai già bevuto uno e mezzo!» sbottò la locandiera. «E non provare a contare il secondo come ‘santo battesimo della gola’!»

Trez si voltò verso i pochi avventori – due contadini rossi in faccia e un nano che dormiva a occhi aperti – e sollevò le braccia come se stesse invocando i Titani dell’Idromele.

«Popolo! Ho sete! Chi è con me nella sacra crociata del dissetamento epico?!»

Il nano ruttò, approvando. I contadini mormorarono qualcosa tra un "forse" e un "abbiamo solo due monete". Matea lanciò a Trez un’occhiata tale che avrebbe potuto far evaporare una palude.

Ma proprio allora la porta della locanda si spalancò con un boato... letterale. Un’esplosione di scintille azzurrine fece volare uno sgabello e carbonizzare una ciotola di stufato.

«TA-DAAA!» urlò una voce squillante e stonata.

Nel fumo apparve MongoXXX, giovane mago apprendista, cugino di terzo grado di uno stregone famoso (forse), vestito con una tunica troppo lunga, un cappello piegato su sé stesso e una bacchetta che sembrava un mestolo.

«Chi ha bisogno di frescura magica?» disse, agitando la bacchetta. «Con il mio nuovissimo incantesimo: Glaciatus Frittellus Maximus!»

«No, aspet—» cercò di dire Matea, ma era troppo tardi.

Uno sbuffo azzurro partì dalla bacchetta, rimbalzò su uno specchio, colpì una bottiglia di idromele e congelò istantaneamente Velenom, che era appena entrato nel locale per cercare briciole.

Il gallinaccio rimase immobile, con gli occhi spalancati e un’ala mezza alzata, trasformato in un monumento al panico volatile.

Tutti in silenzio. Anche il nano. Trez si avvicinò al mago con cautela.

«MongoXXX…» disse lentamente, «ti ricordo che la magia refrigerante serve a… rinfrescare. Non a creare polli ghiaccioli.»

MongoXXX fece un mezzo inchino e inciampò nel suo stesso cappello. «Dettagli! Sto ancora regolando la potenza. Ma sono qui per aiutarvi! Ho inventato… IL VENTAX 666!» disse, tirando fuori da una borsa un artefatto traballante fatto di ruote di carro, eliche, e un calderone pieno di cubetti che puzzavano vagamente di pesce.

Un vortice d’aria fredda invase la locanda. I contadini svennero per la gioia. Il nano si svegliò piangendo. Matea prese un mestolo e lo lanciò in segno di benedizione (o di minaccia).

Trez si lasciò investire dal vento come un cavaliere davanti all’apparizione di una birra miracolosa.

«Cugino di chiunque tu sia parente,» disse, con le lacrime agli occhi, «sei un prodigio... anche se letalmente pericoloso.»

MongoXXX fece una giravolta, colpì il soffitto con la bacchetta e si diede una scossa da solo. «Grazie, Trez! Ma se vuoi tenere il Ventax, devi meritartelo! Domani, al sorgere del sole, si terrà… LA SFIDA DEL FRESCO!»

«In cosa consiste?» chiese Trez, già visibilmente accaldato solo a sentire parlare del mattino.

MongoXXX si illuminò. «Dovrai indossare un’armatura di latta lasciata al sole per tre ore… e ballare una giga senza ustionarti le natiche! Chi resiste di più… VINCE!»

Trez annuì solenne. Poi si voltò verso Matea. «Preparami del ghiaccio… tanto. E anche due bende. Preventive.»

E così, tra incantesimi malriusciti, galline glaciali e sfide ustionanti, Trez il Ramingo si preparava a un’altra epica impresa. Sempre nudo. Ma ora, anche leggermente congelato.

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